A maggio è stato presentato per la prima volta in Italia, a distanza di diciassette anni dal suo debutto nel 2008 a Berlino, il balletto Caravaggio del coreografo Mauro Bigonzetti. A interpretare Caravaggio è spettato all’étoile Roberto Bolle, che ha portato lo spettacolo in scena al Teatro del Maggio Musicale Fiorentino (dal 9 all’11 maggio), e al TAM Teatro Arcimboldi di Milano (dal 15 al 21 maggio). Abbiamo rivolto alcune domande sia a Roberto Bolle sia a Mauro Bigonzetti per farci raccontare le emozioni e le ispirazioni che sono dietro questo progetto e su come entrambi sono riusciti a trasportare la figura complessa di Caravaggio e la sua pittura nella danza. L’intervista è di Ilaria Baratta.
IB. A Lei il compito d’interpretare, da grande étoile quale è, probabilmente uno dei pittori più amati e più rivoluzionari di sempre: Caravaggio. Cosa ha provato a trasformare magistralmente in danza la potenza delle opere del Merisi? Il tormento e il genio sono i due aspetti che più caratterizzano quest’artista: quanto Caravaggio c’è in Roberto Bolle?
Roberto Bolle. Interpretare Caravaggio è stata un’esperienza meravigliosa. È un artista geniale, iconico, che ha cambiato la storia dell’arte italiana e non solo, perché ha cambiato la storia dell’arte internazionale. Ha segnato profondamente la cultura e la visione proprio dell’artista, anche per il modo in cui venivano rappresentate le figure. C’è stata una grande rottura tra il prima di Caravaggio e il dopo Caravaggio. È un artista che ha influenzato l’arte per secoli e ancora oggi è uno dei più amati, uno dei più ammirati, quindi per me è stato un grande privilegio poter interpretare questo personaggio, dargli forma, dargli vita e sicuramente portare sulla scena il suo genio e il suo tormento. È un artista molto lontano da me per le parti drammatiche, tormentate, per l’assassinio, per il sangue che ricorre poi nella sua vita, elemento che si ritrova nel balletto, con il drappo rosso che esce alla fine del primo atto e poi il sangue con cui si macchia le mani quando uccide altri personaggi di questo balletto, che poi sono la bellezza, l’ombra, la luce. Tutti elementi che ricorrono nella sua pittura. È un artista molto diverso da me, ma per questo è stato ancora più interessante interpretarlo; trovare in me quelle chiavi che non sono parte naturalmente della mia personalità, ma che sono comunque insite. Ritrovare la verità di sensazioni, di sentimenti lontani dal proprio essere. E portare in scena questo piuttosto che delle sensazioni e delle emozioni completamente assonanti al proprio essere è ancora più stimolante per un artista.
Lei è un frequentatore di mostre? Com’è il suo rapporto con l’arte visiva? La danza è una straordinaria forma d’arte e trovo che abbia tanti punti in comune con la pittura.
Beh, a me piace molto andare a vedere delle mostre che siano anche di tipologie molto diverse dalla pittura. Per esempio di fotografia ho visto recentemente quella a Palazzo Reale di George Hoyningen-Huene. Sempre a Palazzo Reale mi è piaciuta moltissimo la mostra di Leonor Fini, una delle più belle che ho visto ultimamente anche come esposizione. Ecco, è molto importante. Credo che mi faccia molto bene assorbire la visione degli altri artisti, il modo in cui vengono allestite determinate mostre, i colori, le luci, come vengono presentate. Poi sempre a Palazzo Reale c’era l’installazione di Nico Vascellari. Sono tutte suggestioni che servono, che magari all’inizio non ti rendi neanche conto di quanto possano influire sul tuo gusto, sulla tua creatività, ma poi ritorna tutto. Tornando alla domanda sul portare in scena Caravaggio: è un artista molto teatrale, quindi si presta particolarmente bene a essere portato sulla scena. Abbiamo delle luci di taglio e altre luci che possono illuminare i corpi, plasmarli. Abbiamo alcuni momenti con luci veramente caravaggesche. È proprio un abbinamento giustissimo quello tra il balletto, la danza, il corpo del ballerino e Caravaggio, i suoi dipinti, i suoi quadri, la sua luce.
Quanto è e può essere rivoluzionaria la danza secondo Lei?
La danza può essere molto rivoluzionaria. Lo è stata per tanto tempo, pensiamo anche a Isadora Duncan all’inizio, o a Nižinskij, che hanno rotto gli schemi. La Duncan faceva vedere il corpo femminile muoversi sotto dei veli, è stata di grande rottura, di grande avanguardia. E anche adesso la danza continua a essere rivoluzionaria con tanti coreografi contemporanei che interpretano il presente, ma anche il futuro, abbinandola a nuove tecnologie portate in scena con effetti visivi, con giochi di luce innovativi.
Ecco, la danza è un’espressione che viene dal passato, ma che guarda sempre molto al futuro. È una creazione continua, con un linguaggio che non finisce mai di rinnovarsi. E può essere di grande ispirazione e segnare il tempo.
Da anni è impegnato in prima persona a portare la danza a tutti, in tv e con eventi di grande successo. Anche il balletto Caravaggio va in questa direzione?
Anche il balletto Caravaggio, certo, per me è un modo per diffondere la danza, per continuare questa missione di diffusione che prosegue negli anni con gli show di Rai1, con OnDance che tornerà a Milano a settembre. Adesso anche con la Fondazione [nda: la Fondazione Roberto Bolle, “che si propone di sostenere la danza in Italia e nel mondo, con l’obiettivo di diffondere i valori artistici, culturali e umani che la danza ha in sé”], con cui proseguo questa strada. Ma anche con il balletto Caravaggio portato nei teatri e l’abbinamento che siamo riusciti a creare in occasione della trasmissione di Rai1 e la mostra di Palazzo Barberini. Tutto serve a far passare questi messaggi in maniera più facile al pubblico, ad ampliare la platea, a far venire più pubblico alle mostre e a teatro e questo è molto importante. Questo mio viaggio nella bellezza iniziato con Caravaggio prosegue quest’estate a luglio con tre appuntamenti meravigliosi perché in luoghi meravigliosi come le Terme di Caracalla, il Teatro Greco di Taormina e l’Arena di Verona. Due spettacoli a Caracalla il 15 e il 16 luglio, a Taormina il 18 luglio e il 22 e il 23 luglio nella magica Arena di Verona. Anche ballare con tutta questa storia, questa meraviglia alle nostre spalle è qualcosa che incide molto nel portare la danza tutti.
IB. A distanza di 17 anni dal suo debutto a Berlino, il balletto Caravaggio è arrivato quest’anno, a maggio, finalmente in Italia. Cosa significa per Lei averlo portarlo per la prima volta nel nostro Paese?
Mauro Bigonzetti. Sono super felice di aver portato in Italia questo balletto dopo diciassette anni, specialmente nel contesto in cui l’abbiamo presentato e cioè con Roberto Bolle, prima cosa, e poi con il Maggio Musicale Fiorentino e con il Teatro Arcimboldi di Milano. Sono felicissimo perché Roberto ha sia la maturità, sia la sensibilità che la fisicità per fare un ruolo del genere. Secondo me è proprio il momento perfetto per Roberto interpretare un ruolo del genere e infatti l’ha interpretato secondo me in maniera somma. Sono felicissimo perché mi inorgoglisce, mi dà tanta soddisfazione; il 60-70% del mio lavoro è stato fatto tutto all’estero, in Italia è quasi sconosciuto, insomma. Per cui portare in Italia questo balletto dopo tanti anni per me è stata una soddisfazione enorme, poi, ripeto, con Roberto Bolle ancora di più.
Perché ha scelto di dedicare un balletto a Caravaggio? Nella scelta ha seguito una Sua particolare passione per il Merisi o ha influito anche il nome altisonante che cattura il pubblico?
Questo lavoro diciassette anni fa mi è stato commissionato dalla Deutsche Oper di Berlino con lo Staatsballett di Berlino. Mi chiesero allora un soggetto che avesse a che fare con la cultura e con l’arte italiana e ho scelto Caravaggio. Perché? Perché comunque ho frequentato l’Istituto d’Arte, per cui ho vissuto gli anni giovanili immerso nelle arti figurative. Logicamente Caravaggio è stato uno dei tanti pittori che ho amato, forse quello che ho amato di più, per cui diciamo che lo portavo dentro e covavo questo balletto da tantissimi anni. Caravaggio è un personaggio che ho amato tanto in passato e che nel momento giusto è tornato fuori con questa richiesta da parte del teatro di Berlino di fare qualcosa con un segno fortemente italiano.
Cosa La affascina di questo artista?
Di Caravaggio mi affascina tutto: la vita, la produzione artistica e più che altro il mistero che c’è intorno a questo personaggio. È sempre stato un mito per me, sia la sua produzione che la sua vita, anche se è una vita, come dicevo, piena di misteri e piena di incognite, ma è proprio questo mistero, questa magia che c’è intorno a questo personaggio che mi ha sempre affascinato.
Com’è riuscito a trasformare in danza l’arte di Caravaggio? Su quali elementi o su quali aspetti si è maggiormente concentrato?
Non so se sono riuscito a trasformare in danza l’arte di Caravaggio, perché questa è una, possiamo dire, operazione titanica. Però sicuramente gli aspetti su cui ho lavorato sono stati le vibrazioni che escono dai corpi di Caravaggio, dalle tensioni dei corpi, dai muscoli e dalla pelle dei protagonisti dei quadri di Caravaggio. Le tensioni dei corpi sono la cosa che mi hanno ispirato di più. Logicamente non siamo andati a riprodurre in maniera né simbolica né figurativa i quadri o le composizioni caravaggesche, ma sono proprio queste tensioni dei corpi che mi hanno spinto così la creatività per fare un certo tipo di lavoro. Questa tensione è la fiamma e anche la spinta principale del lavoro.
E riguardo alle musiche, quali brani sono stati scelti?
Per quanto riguarda la musica con il maestro Bruno Moretti, fin dall’inizio ci siamo posti questa idea di fare un qualcosa che avesse a che fare col periodo storico di Caravaggio e proprio in quel periodo, nello stesso periodo in cui nasce Caravaggio, quattro anni prima, nasce anche Claudio Monteverdi, per cui vivono lo stesso periodo storico, e quindi ci sembrava un’ottima idea fare un parallelo anche con la musica, tra la musica e la pittura. Il maestro Bruno Moretti ha preso dei cloni dalle opere più famose e più importanti di Claudio Monteverdi, le ha fatte diventare sinfoniche, musica sinfonica per grande orchestra, cosa che, insomma, è abbastanza particolare, perché tutta la musica in quel periodo storico si scriveva per piccolissimi ensemble; non esisteva ancora il concetto di sinfonismo. Moretti ha reso questa musica sinfonica prendendo alcuni piccoli temi o dei piccoli cloni e sviluppandola in maniera più novecentesca, più sinfonica.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.